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Mar 15, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Sembra statisticamente dimostrato

Sembra statisticamente dimostrato

che si desidera quello che non si può avere. E più non si può avere, più si desidera. Ovviamente io sono fuori statistica anche in questo caso. Per me vale questo detto, che ho trovato proprio stamattina:

“I sogni si avverano: se non esistesse questa possibilità
la natura non ci spingerebbe a sognare…”

ecco. E lo stesso discorso vale per i desideri (d’altra parte i sogni cosa sono?) Io desidero solo ciò che so di poter avere. L’impossibile sì, ci rido su, ne parlo pure, ma di certo non ne faccio meta né puntiglio, e non mi ci fossilizzo per più di mezzora, un’ora, toh. Il desiderio mi nasce prima di ogni altro aspetto considerato, nasce da sé, a prescindere da tutto. Nel momento in cui so di poter avere, il desiderio cresce, cioè il fatto che si possa realizzare me lo alimenta automaticamente. Mentre, al contrario, nel momento in cui constato che non posso averlo, non potrò mai realizzarlo, si spegne tutto, perdo ogni interesse. A differenza, come al solito, del pensiero generale, non trovo nessuno stimolo nel volere ciò che so di non poter avere. A che serve? Cos’è che porta a desiderare questo, la consapevolezza che non si può avere? Questa è testardaggine. O cos’è, il sapore dell’irrealizzato? Ma è un sapore che resterà comunque, perché appunto è qualcosa che si sa che non si avrà mai. Allora non è forse piuttosto il fatto che quella cosa non la si vuole poi così tanto? Desiderare ciò che non si può avere non potrebbe indicare che in realtà non si vuole proprio niente?
Una branca della filosofia buddista sostiene che il desiderio è alla base delle sofferenze umane. Non condivido questo, perché comunque il desiderio è qualcosa di estremamente umano, è nella natura dell’uomo. Se poi i buddisti si riferiscono al desiderio di qualcosa che di sicuro non si può avere allora sì, sono pienamente d’accordo. Come il bello dei misteri è il fatto che si può tentare di svelarli, così il bello dei sogni/desideri è sapere che si potrebbero realizzare.

Mar 14, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Guardare in faccia la realtà

Guardare in faccia la realtà

ma ovvio! Sempre! Mi domando come si fa a non guardarla in faccia. Ma questo che significa? Perché io la vedo sempre in positivo non la guardo in faccia o non nel modo giusto? Perché, la realtà per essere “reale” deve essere per forza fredda, arida, o piena di difetti? Ma non diciamo strombazzate. Il mio punto di vista è opposto, cerco sempre il lato positivo, il che non vuole affatto dire che non la guardo in faccia, e apprezzo e ammiro chi fa lo stesso, mentre non amo chi ti sbatte in faccia la (sua nera visione della) realtà arrivando ad offendere per il motivo che “è sincero”. Ma sincero di che?! E poi chi lo dice che chi è brutale sia sincero? E’ brutale, perfido e insensibile,  totalmente incapace di rendersi conto degli altri, anzi, quasi godendo nel fare del male, e considerandoli stupidi perchè “non vedono le cose come sono”. Ma mica è detto che sono come dice lui?  Tutto questo NON dimostra affatto che sia sincero. Magari mente su tutto il resto. Ha semplicemente una visione cupa della realtà, deride i sentimenti o la sensibilità perché li vede come debolezza (e grazie! lui non ne ha!), e lo fa anche con quelli a cui dice di voler bene. Che poi provassero questi a fare lo stesso con lui, provassero a  “sbattergli in faccia la realtà” come fa lui, voglio vedere se lo accetta. Non mi pare proprio. Ma come? Tu non ti preoccupi di offendere e poi ci resti offeso? Dovresti avere l’intelligenza di accettarlo questo “sbattimento in faccia”, visto che tu lo fai. Beh, se uno facesse così con me, tutto farei fuorché pensare che mi vuole bene, perché chi mi vuole bene si preoccupa se quello che dice può in qualche modo farmi del male. Per quanto mi è possibile lo evito, ma quando mi ci sono trovata ho combattuto e così continuerò a fare contro questo tipo di mentalità e atteggiamento, continuerò a guardare in faccia la realtà senza mai considerarla brutalmente, specie con chi amo, e anche se non ho le capacità di certa gente che passa per “schietta” ma è solo crudele e fredda, la realtà la guardo in faccia eccome. Infatti vedo bene come certa gente è fatta. E la eviterò sempre.

Sia chiaro: OGNUNO LA PENSA A MODO SUO. TU NON CRITICARE IL MIO E IO NON CRITICHERO’ MAI IL TUO.

(succublog splinder, 17/12/2010)

Mar 10, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Comprendersi (discorso complesso)

Comprendersi (discorso complesso)

Capirsi.jpg

Prendo spunto da uno dei film che preferisco, “The interpreter”, di Sidney Pollack, per trattare un argomento che sento molto e ritengo molto importante, cioè quello della comunicazione. Nel film, la protagonista sostiene, secondo me giustamente, che le parole sono fondamentali, sia da parte di chi le pronuncia, sia da parte di chi le ascolta. Sono una responsabilità reciproca, e un errore, anche minimo in questo scambio comunicativo può stravolgere tutto e deviare la comprensione spesso con conseguenze non indifferenti (lei dice: “se traduco ‘andato’ con ‘morto’ perdo il posto”). E tutta una questione di responsabilità. Il che mi porta ad un pensiero che ho sempre avuto e che ho, con piacere, ritrovato in una delle frasi che girano su Facebook, vale a dire, io sono responsabile di ciò che dico, non di come viene inteso. E’ proprio così. Esempio. Se io dico “ho un languorino”, e in realtà intendo dire che ho voglia di dolce, è mia responsabilità non essermi espressa bene, in modo chiaro e tondo, per cui è colpa mia se non ottengo ciò che davvero desidero, danneggio solo me stessa, comunque, una responsabilità non del tutto fuorviante se non nel fatto di non essere stata precisa, però solo mia perché non posso prendermela con chi mi ascoltava se mi porta qualcosa che non voglio, dovrebbe leggermi il pensiero, e questo non capita diciamo pure mai. Se poi, peggio, dico “ho fame” ma in realtà intendo dire che ho sete, la responsabilità è tutta soltanto mia, perché ho espresso a parole il contrario di quelle che sono le mie intenzioni. Se invece io dico “ho fame” esprimendo esattamente le mie intenzioni, e chi mi ascolta mi porta dell’acqua, è stata sua volontaria interpretazione, magari tralasciando ciò che ho detto ma basandosi su un mio gesto che gli ha fatto pensare che avessi sete, quindi la responsabilità è sua, se ha capito male o ha capito ciò che voleva capire. Da tutto questo, la frequente difficoltà, quando non impossibilità, di comunicare. Ciò che il film intende è che la parola è l’espressione delle intenzioni. E ha un potere immenso. Quando viene usata da chi ha potere, ad esempio, e chi lo ascolta ci crede, senza interpretarla a modo suo oltre il significato della parola stessa, se questa parola non ha la vera intenzione che esprime (dire ho fame e in realtà avere sete) chi ci ha creduto finisce per essere sottomesso. Chi ha fiducia nella parola, e si prende responsabilità di ciò che dice e nello stesso tempo pone estrema attenzione a ciò che ascolta, non concepisce che la parola venga usata gratuitamente e fine a se stessa. Fine a se stessa nel senso di priva delle intenzioni che esprime. Ciò che viene detto deve corrispondere alla verità, non la verità assoluta, che non è prerogativa di nessuno, la verità sulle intenzioni che la parola esprime. (io ho fame = voglio da mangiare) Dopo di che la questione passa a chi ascolta. E là c’è una distinzione da fare tra interpretare e comprendere: non si può interpretare ciò che si ascolta, si deve comprendere, e crederci. Se così è, e quello che viene ascoltato non è l’espressione delle vere intenzioni di chi ha parlato, la responsabilità ricade totalmente su quest’ultimo. Bisognerebbe innanzitutto sforzarsi di dire le vere intenzioni, e mai fare altrimenti, specialmente e categoricamente quando si hanno a monte responsabilità di altri. A quel punto è responsabilità di chi ascolta comprendere e crederci fermamente. La parola è un dono che non può né dovrebbe essere sprecato, e serve a questo, a comunicare per comprendersi, non per interpretarsi.

“ma la voce umana è diversa,
dagli altri suoni

perfino quando non grida,
perfino se è solo un bisbiglio,
perfino il più lieve bisbiglio può essere udito al di sopra degli eserciti,
quando dice la verità.”

Appunto. La verità.

Mar 9, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su La strada verso i sogni

La strada verso i sogni

l’ho trovata su una pagina di Facebook e mi ha fatto riflettere molto. Perché in effetti è veritiera, e inoltre avvalora ciò che penso da sempre, cioè che non ci sia il destino a guidarci, ma che ogni vita si intrecci, o si unisca e si fonda, o si intersechi con le vite degli altri. Nel senso che ognuno di noi è di “intoppo” sul percorso della vita di qualcun altro, come altri lo sono della nostra. Ogni tanto sento qualcuno che sostiene convinto di non essere riuscito a realizzare i suoi sogni perché evidentemente non era destino. Ma non è così, se non è riuscito – o non ancora, non è finita finché non è finita – è perché evidentemente altre vite con altri obiettivi si sono intersecate con la sua. Se valutiamo questa immagine, tra noi e la realizzazione dei nostri sogni ci sono gli altri, a partire dai parenti, che in realtà non sempre ci ostacolano, specialmente i genitori, ma molto spesso lo fanno anche loro, per lo più in buona fede, magari agendo o parlando per il nostro bene ma comunque sia ci ostacolano. Poi ci sono i disfattisti, che possono essere personificati anche da chi meno si penserebbe, tipo un usciere comunale, tanto per dire, che ti comunica, risbattendotelo in faccia con totale indifferenza, che quel dato documento urgente a cui invece tu tieni tanto, così come lo hai presentato non può essere timbrato e approvato, quindi minimo ci devi tornare. E vai allora altro giro altro regalo, altre trafile, e altra perdita di tempo. Intoppi, contrattempi, disguidi, fraintendimenti, che ci si crea a vicenda, vuoi per invidia, vuoi per mantenere uno status sociale o un organico nell’ufficio in cui lavori, vuoi anche per affetto e timore che tu possa in seguito avere problemi. Una cosa però vedrei diversamente in questa vignetta: paura e colpa (le zone buie della mente) le metterei sparse qua e là, perché spesso giocano un ruolo fondamentale sul nostro cammino, e siamo soltanto noi a doverle superare – cosa che richiede impiego di forze e di tempo – nessuno può aiutarci. La paura di un esame (che riguarda la società), la paura di non riuscire (aggravata dalla presenza dei pessimisti disfattisti sul tuo percorso), la paura di deludere (che, più spesso che no, ha  a che fare con i parenti) e di essere deluso. Insicurezze e paure sono altri enormi ostacoli alla riuscita dei nostri progetti, e molto di frequente riescono persino a farci desistere e addirittura rinunciare ai sogni. Ma il più lo fanno gli altri, con le loro vite, che si incontrano con la tua, portando anche bene, spesso e volentieri, questo è da dire, ma spesso, purtroppo, intralciando il cammino, anche solo scoraggiandoti con una parola e rovinandoti il morale. Tuttavia, però, e per fortuna, osservando la vignetta, salta all’occhio che sotto la scritta “amici” non c’è nessuno (con arma in mano). Questo perché chi ti è amico non si metterebbe mai sulla tua strada con la mazza per ostacolarti, neanche per affetto. Piuttosto proverebbe, se riesce, a percorrere insieme a te il cammino verso i tuoi obiettivi, come tu faresti con i suoi. Dunque sono sempre più convinta che la vita umana sia come una rete, fatta non di rette parallele regolari che procedono affiancate, ma di linee nemmeno tanto rette che in modo imprevedibile si incrociano, si sovrappongono, si intersecano, si intrecciano, influenzandosi, spesso negativamente (perché, purtroppo, molti sono gli egoisti e i senza scrupoli), a vicenda. Di buono però c’è che, di tanto in tanto, due linee si incontrano per fondersi tra loro e continuare il percorso insieme. Sono i punti in cui la vita crea, rinasce e riprende a fluire incontrastata. Ecco, al limite al limite, proprio volendo considerarne l’esistenza, si potrebbe pensare che qui, in questi incontri di fusione creativa, possa risiedere un eventuale destino, o predestinazione. Ad ogni modo, per quanto lungo, ostacolato e difficile sia il cammino, la luce (dei tuoi sogni) la vedrai sempre,  per cui non perderla di vista e vai avanti. Così facendo, nel buio (di paure e colpe) non ci brancolerai mai.

Mar 7, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su C’era una volta

C’era una volta

me, che credevo nelle favole. Credevo e mi ci perdevo anche. Nel senso che, non contenta di trovarmi già in un mondo fatto totalmente di fantasia, ci fantasticavo pure su ulteriormente. Cosa non si fa pur di sognare. E il peggio è che tutto questo è durato fino a poco tempo fa, e forse boh, dura ancora. Nonostante le disillusioni costanti. E naturali. Ma io dico, perché non è possibile credere nelle favole sempre? Perché non si può credere che tutto finirà bene, e si metterà al posto giusto, per cui le cose andranno esattamente come dovrebbero andare? Ma a potere si può, mi dicono, a patto che tu non creda troppo a quello che sogni. Perché la realtà più spesso che no ti smentisce. E allora è meglio non sognare forse? Meglio smettere di credere nelle favole? No, per me no. L’amore esiste, vince su tutto, dura per sempre. Il principe raggiunge la cima della torre più alta del castello circondato dalle fiamme e protetto da un drago pur di salvare la sua amata. E lei lo attende lì (chissà perché sempre in queste situazioni così disastrate), senza muoversi, fiduciosa e speranzosa. ….. oddio in effetti è poco credibile. Ma si sa, credere in qualcosa è spesso molto una questione di volontà, nonché un grande rischio, ovviamente. Ci credi perché vuoi crederci. Quante volte mi sono sentita un po’ come questa principessa, che convinta aspettava il principe e credeva nella di lui volontà di superare ogni cosa pur di raggiungerla. E invece la realtà mi ha puntualmente smentito. Perché la realtà è fatta di tanti ostacoli spesso molto più pericolosi di un drago, e cioè: il menefreghismo, il lasciarsi distrarre dalle futilità, e soprattutto il tempo, che molta gente perde in piccolezze inutili, come se fossimo tutti immortali. Ma essere immortale non è anche una favola? Direi di sì. Eppure molti vivono la vita come se fossero eterni, perdendo occasioni, facendo aspettare, o aspettando a data da destinarsi per poi dire che così doveva andare. E allora io boh, non ci capisco più. Mi prendono per matta se io credo alla possibilità che due persone si incontrano, scocca l’amore tra loro (per inciso, pensavo che se io fossi stata Cupido avrei scoccato frecce a tutto spiano, e il mondo sarebbe un disastro, probabilmente) e, dopo aver superato con successo varie peripezie e vicissitudini, vissero felici e contenti. Nel pieno rispetto delle migliori favole. Così come mi raccontavano da bambina. Purtroppo però non mi dicevano mai cosa accadeva dopo quel “vissero felici e contenti”, per cui io non andavo mai oltre quel momento lì, cioè oltre la fine della favola che in effetti era l’inizio della vita dei protagonisti. Perché questi due amati il giorno dopo la fine (ed eventuali festeggiamenti) si sono svegliati, avranno fatto colazione e si saranno messi a pensare a come passare i prossimi anni della loro vita, no? Ecco, io a questo non ho mai pensato. Ed è qui il problema, probabilmente. Perché pare sia così, la realtà distrugge le favole. Ma la mia eterna domanda è: se io voglio continuare a crederci, lo fa lo stesso?

Mar 5, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Credere

Credere

“Non posso pensare che esista un mondo in cui Dio non esiste, non ci riesco”

“Come fai a sapere che non ti stai illudendo? “

“Lo so.  “

“Io invece vorrei una prova “

“Una prova? “

“Sì “

“Volevi bene a tuo padre? “

“Sì, moltissimo. ”

Provalo. “

(dal film “Contact”)

Mar 4, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Le more tra i rovi

Le more tra i rovi

Ricordi di montagna. Quando si andava a spasso, ogni giorno avventurandosi in zone diverse. Ne facevamo spesso di giri. A volte ci si fermava sul ciglio delle strade, dove era pieno di rovi di more, certe morone grandi nere e gustose mai più viste, nè mangiate di così buone. Mia mamma ne va matta, e ne raccoglieva a manciate, incurante delle grosse spine. Faceva una specie di sacca con la maglia o la giacca che indossava, e le metteva lì per portarle via (ovviamente di due una la mangiava subito). Ho nostalgia di quei tempi, sì. Ma più che altro della spensieratezza. Come quella volta in cui mia madre raccolse quella che pensava essere camomilla e che poi per un caso molto foruito scoprì essere cicuta. Si andava in giro tranquillamente, senza paura di pericoli, ingenuamente. Oggi ad esempio ci sarebbe grande preoccupazione di avvicinarsi ai rovi di more, per la paura di eventuali vipere o altri pericoli. Diventerebbe un problema camminare sul ciglio delle strade; non ci si sentirebbe tranquilli a raccogliere piante quelle che siano, anche se sai perfettamente che si tratta di camomilla e non di cicuta, il dubbio ti resta lo stesso. Ci sono tante paure, indotte, radicate o innate, vuoi anche per l’enorme aumento dell’informazione (ai tempi, chi nemmeno sapeva cosa fosse un computer), che è utile di sicuro, ma spesso più che avvertire o limitarsi ad informare, getta vero panico e diffidenza. Qua pare che non puoi mangiare niente, devi controllare tutto; non puoi fidarti di nessuno perchè chissà chi può essere e cosa può farti; non puoi viaggiare, non puoi spostarti, non puoi non puoi non puoi. E va così che la spensieratezza di andarsene belli e fiduciosi a raccogliere more tra i rovi è quanto meno minata.

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