Feb 21, 2014 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Non chiamatelo amore, per favore

Non chiamatelo amore, per favore

il sentimento non corrisposto. Perché non lo è. C’è chi rimane offeso da questa affermazione, e si ostina a chiamarlo ugualmente amore, ma non pensa che è l’amore ad esserne offeso, piuttosto. Quando una persona ci piace, e non c’è ricambio da parte sua, c’è a volte una tendenza ad idealizzarla, si crede che sia per amore (il nostro, quello che proviamo noi), ma in realtà è perché si vuole a tutti i costi vedere in lei un ideale che ci si adatti e che abbiamo deciso di tenere accanto, o che vorremmo tenere accanto, tipo un bell’accessorio abbinato al vestito che indossiamo. E insistendo nella convinzione che sia realmente amore (il nostro), finiamo col ritagliare di lei un’immagine da cucirci addosso, che ci calzi meglio possibile, addirittura giustificando, rappezzando e accomodando quello che di lei ci stona – e senza minimamente considerare che ci stona semplicemente perché la persona non ricambia il sentimento, cioè non ci ama. Questo (il nostro) non è amore, in quanto noi non stiamo amando la persona come è ma soltanto un’immagine di lei che con lei non c’entra niente. Non la stiamo nemmeno conoscendo, dato che la persona, non ricambiandoci, non ci lancia alcun messaggio, non ha apertura nei nostri confronti, non ha interesse e non si lascia quindi conoscere da noi. Dove si pensa principalmente a se stessi non c’è amore. Non amiamo, ci illudiamo soltanto, mi dispiace per chi da questo si senta offeso. Dicono, ma è amore lo stesso perché l’amore brilla di luce propria. Sì, che brilla di luce propria è vero. Ma nel senso che è totalmente indipendente, anche dalla nostra volontà. Per questo è stato paragonato, e la cosa a me piace tantissimo, alla follia. Mentre noi razionalmente cerchiamo nell’altro un’immagine a nostra somiglianza, lui, indipendentemente da noi, ne cerca una a somiglianza sua.  Amarsi davvero è riflettersi uno nell’altro. Ed è questo che cerca l’amore (il nostro): il suo riflesso, cioè la “luce propria” dell’amore dell’altro, e non, come spesso molti fanno, sbagliando, somiglianze e similitudini caratteriali, con la errata idea che solo i simili si prendono, altrimenti sono solo problemi.  L’amore non si fa di queste paranoie. L’amore (il nostro, quello che proviamo noi) cerca nell’altro l’amore (il suo, quello che prova lui per noi), cioè che l’altro ci ami a sua volta, perché vuole cibare e cibarsi, non morire e far morire di fame, vuole risplendere, non spegnersi, vuole muoversi, non dormire. E se vede questo riflesso è pronto a lottare, insieme all’altro, contro eventuali problemi dovuti allo spauracchio delle tanto temute differenze caratteriali o altre difficoltà che, essendo umani, possono senz’altro capitare. Ma se non è corrisposto, inutile, non trova alcun riflesso, per quanto osservi non vede che buio.  Per quanto provi a chiamare non sente risposta, , non c’è suono,  neanche un’eco. Davanti a sé  ha una sagoma finta, che non emette né luce né calore, fatta di piccoli ritagli di plastica  fredda,  immobile e silenziosa. A quel punto l’amore (il nostro) si tira indietro. E’ pronto a lottare contro qualsiasi avversità e fino in fondo, ma insieme all’altro, non contro di lui. Lottare contro chi dovrebbe alimentare e alimentarlo? Non ha senso. Lui rifiuta quel buio, quel silenzio che lo fanno sentire solo mortificato. Prende le distanze, perché, per quanto sia vero che brilla di luce propria ed è sempre disinteressato, l’amore non accetta l’umiliazione. Si ferma, si dissocia, diciamo, lasciandoci lì, a viverci quella illusione a quel punto tutta esteriore e razionale, senza emotività, che molti si ostinano a seguire, chiamandola amore, per motivi solo personali, che sia il desiderio di avere qualcuno accanto – più simile a loro è meglio è, così niente sofferenza, credono -; o per amor proprio, meglio dire vanità, che impedisce di ingoiare il fatto di non essere riamati; oppure ancora per quell’incapacità, tutta umana, fatta di orgoglio, di riconoscere di essersi sbagliati tanto, accettando persino la condizione di sofferenza e malessere in cui, per forza di cose e anche per volontà loro, ristagnano. E’ bel dire che l’amore è dare senza “volere” niente in cambio, inutile menare il can per l’aia, si può ripetere fino allo spasmo che “amare da una parte sola si può”: chi non ci ama a sua volta, portandoci a fare cose che ci fanno arrivare ad odiare noi stessi, anche se non è colpa sua, finiamo con l’odiarlo, altro che amore. E a tale proposito ci tengo a precisare che è da contestare anche la solita frase fatta secondo cui “l’amore non dà sofferenza”. Infatti non è l’amore a darci sofferenza, ma noi stessi, perché continuare a credere di amare qualcuno che non ci risponde in niente mortificando quello che noi proviamo per lui è una volontà (colpa?) nostra, non dell’amore. L’amore si è ritirato, appunto in quanto brilla di luce propria, ha deciso indipendentemente da noi, e non c’entra più da un pezzo se non trova amore dall’altra parte. Ciò che luce emette avrà luce in cambio, di conseguenza ciò che buio emette…. Perciò non chiamatelo amore, per favore, chiamatelo come altro volete,  sbandata, tramvata, scuffia, grande cotta, illusione, perdita di tempo.  Ma amore no. Perché non lo è.

PS: Pensavo che l’espressione “ciurlare nel manico” intendesse più o meno lo stesso di “menare il can per l’aia”, cioè del tipo “girarci intorno, tirarla per le lunghe, parlare a vanvera”, una cosa del genere. Invece pare che il primo detto riguardi le promesse, e si riferisca a chi trova scuse per non mantenerle. Che poi “ciurlare” sembra derivi dal latino “circulare”, quindi fa pensare ad un gesto, girare la mano nella manica, che rivela imbarazzo, disagio. Il che, volendo, può far pensare ugualmente ad un tergiversare. Concludendo, forse una certa similitudine tra i due detti c’è.

Non chiamatelo amore, per favoreultima modifica: 2014-02-21T12:49:35+01:00da ellypettino
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