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Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su La verità

La verità

non esclude la fede. Anche se spesso si ritengono due opposti inconciliabili.
E’ uno dei grandi dilemmi filosofici e di pensiero.

Chi cerca la verità si ritiene ed è ritenuto fondamentalmente razionale. Perchè la verità è “il dato di fatto”, quello che è constatabile, reale, esempio: nel caso in cui si rompe un piatto, il dato di fatto è il piatto rotto. Poi c’è la dinamica di come è accaduto, che può essere discutibile in quanto implica le intenzioni di un eventuale colpevole, o la fatalità nei gesti, la memoria di chi è coinvolto se ricorda o meno o se era distratto, insomma la dinamica può avere tante sfaccettature che spesso confondono e si intrecciano fino ad ostacolare la strada verso la verità. Ma il fatto c’è, è quello e non può essere messo in discussione. Quindi la verità, sinteticamente parlando, coincide con il reale quindi la razionalità che la constata. Ciononostante, non è detto che questa escluda la fede. Io ad esempio cerco sempre la verità, cerco il dato di fatto, e nello stesso tempo credo fortemente. Mi è capitato di parlarne qualche giorno fa, in merito ai sentimenti – che non hanno a che fare con la razionalità, eppure in qualche modo ci rientrano, perchè quello che una persona sente, prova, è un dato di fatto da cui non può prescindere e che non può mettere in discussione. Può ignorarlo, ridimensionarlo, anche accantonarlo (razionalmente), ma dentro di sè comunque SA che sta là. Quindi verità e fede non si escludono affatto a vicenda, anzi la fede può essere riconosciuta e affermata come verità e attraverso la ragione. D’accordo però su un altro aspetto. Cioè che alla fede non si arriva attraverso la ragione. Nel senso che se si cercano prove concrete, tipo vedere un miracolo, per fare un esempio, già si è ben lontani dal credere. La fede (che sia religiosa o in altri ideali) supera la razionalità, e si raggiunge a prescindere dai dati di fatto verificabili. Il dato di fatto della fede è quello che si prova dentro, che si “tocca” con mano perchè si sente, ed è quanto ci permette di credere a prescindere dall’evidenza. Quindi due opposti sì, ma inconciliabili no. Dipende poi dai singoli individui se si dà più peso all’una o all’altra, spesso con la conseguente esclusione di una delle due. Ma “in realtà” la risposta finale è la loro coesistenza .

(succublog splinder: 13/12/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su I caggionetti

I caggionetti

caggionetti


In fermento per i preparativi natalizi, ho pensato a questa specialità tipica abruzzese che tradizionalmente si prepara in questo periodo. A casa mia non sono mai mancati, fin da quando ero piccola. La versione più in uso da me è quella con ripieno di marmellata d’uva, uva colta dai numerosi vigneti delle nostre campagne. Però la ricetta originale in realtà è con il mosto. Eccola qui: 
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I caggionetti, in dialetto li caggnìtt, sono dei dolci abruzzesi molto particolari, che si preparano sopratutto durante le feste natalizie, per i lauti pranzi in famiglia dei giorni di festa. La preparazione richiede un procedimento abbastanza lungo e il ripieno si cucina un giorno prima. Si presentano come piccoli ravioli fritti.

Ingredienti
(Le dosi indicate si riferiscono a 4 persone)

Per la pasta

circa 1 kg. di farina
un bicchiere d’acqua
un bicchiere di olio extravergine di oliva
un bicchiere di vino bianco secco

Per il ripieno

1/2 litro di mosto cotto
100 gr. di mandorle tritate
50 gr. di noci tritate
300 gr. di castagne essiccate
50 gr. di zucchero
30 gr. di cedro candito
mezzo bicchiere di rhum
olio da frittura
zucchero a velo
cannella

Preparazione

Tenete conto che l’impasto va preparato il giorno prima. Procedete in questo modo: Bollite le castagne e passatele per ottenere una morbida crema. Nel frattempo, mettete a riscaldare il mosto in un tegame, tenendo la fiamma molto bassa. Unite alle castagne la frutta secca e un po’ di cannella. Nel tegame con il mosto, aggiungete il rhum, i canditi e lo zucchero. Lasciate riposare in un luogo fresco per tutta la notte. Impastate la farina con l’olio, il vino e un po’ d’acqua, fino ad ottenere un impasto senza grumi. A questo punto stendete con il matterello una sfoglia molto sottile, da cui ricaverete dei cerchi con un bicchiere rovesciato. In ogni cerchietto posizionate un cucchiaino o due di impasto, piegate il cerchio per ottenere una mezzaluna e chiudete bene con le punte di una forchetta. Ora i caggionetti sono pronti per essere fritti. Prima di servire, spolverateli con zucchero a velo e cannella.

Varianti

Come ogni dolce tradizionale, anche i caggionetti possono essere preparati in diversi modi. Si può per esempio sostituire l’impasto con della morbida marmellata d’uva al posto del mosto.

(succublog splinder: 02/12/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Il cuore rivelatore, ovvero la voce della coscienza

Il cuore rivelatore, ovvero la voce della coscienza

mi è capitato di ripensare a questo bel racconto di E.A. Poe, uno dei più grandi scrittori mai esistiti, anche se rappresentante di un tipo di letteratura specifica, quella dell’incubo dell’inconscio. Ogni suo racconto esprime i sentimenti e le emozioni più profonde ed angoscianti (paura, nostalgia, rabbia, rimorso), che emergono dagli abissi di un animo tormentato come il suo, per uscirne trasfigurate in un’atmosfera inquietante, ed essere rappresentate nella loro essenza, come se, uscendo dai bui recessi dell’animo , venissero freddate ed accecate dalla realtà. .
I racconti di Poe mi rimandano al famoso quadro “L’urlo” di Munch, che è angoscia dipinta, un capolavoro artistico che è riuscito a dare un volto alle paure e alle angosce dell’animo umano. Esattamente come ha fatto Poe nei suoi scritti.
Il cuore rivelatore riguarda e descrive i rimorsi della coscienza. Ho pensato di postarlo per intero. Auguro a chi è interessato, buona lettura.

Sì; è vero – sono nervosissimo, spaventevolmente nervoso – e lo sono stato sempre; ma perché volete pretendere ch’io sia pazzo? La malattia m’ha aguzzato i sensi, ma non li ha distrutti, non li ha ottusi. Più di tutti gli altri, avevo finissimo il senso dell’udito. Ho sentito tutte le cose del cielo e della terra. Ne ho sentite molte dell’inferno. E dite che son pazzo? State attenti! E osservate con quale precisione, con quale calma vi posso raccontare tutta la storia.

Come l’idea m’entrasse dapprima nel cervello, m’è impossibile dirvelo; ma, una volta concepita, non mi lasciò più, né giorno, né notte. D’oggetto non ce n’era. La passione non c’entrava per nulla. L’amavo quel buon vecchio. Non m’aveva fatto mai del male. Non m’aveva mai insultato. Il suo denaro non lo desideravo. Credo che fosse il suo occhio! Certo, era quello! Uno dei suoi occhi assomigliava a quello d’un avvoltoio – un occhio blu pallido, con sopra una macchia. Ogni volta che quell’occhio ma cadeva addosso, mi si gelava il sangue; e così, lentamente… a gradi… mi misi in testa di troncar la vita del vecchio, e con quel mezzo liberarmi per sempre dall’occhio.

Ed ecco il buono! – Voi mi credete pazzo. I pazzi non sanno nulla di nulla. Ma se mi aveste visto! Se aveste visto con che sapienza procedetti!… con che precauzione… con quale preveggenza… con quanta dissimulazione mi misi all’opera! Il vecchio non mi trovò mai tanto amabile quanto durante l’intera settimana che precedette l’assassino. E ogni notte, verso mezzanotte, giravo la maniglia della sua porta, e l’aprivo… oh! tanto dolcemente! E allora, quando l’avevo abbastanza dischiusa per la mia testa, introducevo una lanterna cieca,chiusa,chiusa,ben chiusa, che non lasciava filtrare nessuna luce; poi passavo la testa. Oh! Ma sareste rimasti, a vedere con che destrezza passavo la testa! La muovevo lentamente…lentissimamente, in modo da non turbare il sonno del vecchio. M’abbisognava certamente un’ora per introdurre tutta la mia testa attraverso all’apertura, abbastanza avanti per vederlo coricato nel suo letto. Ah! Poteva darsi che un pazzo fosse così prudente? – E allora, quando la mia testa era ben dentro la camera, aprivo la lanterna con precauzione; oh ! Ma con che precauzione, con che precauzione! perché la cerniera strideva. E l’aprivo giusto quanto bastava perché un filo impercettibile di luce andasse a cadere sull’occhio d”avvoltoio. E questo l’ho fatto sette lunghe notti – ogni notte a mezzanotte precisa – ma trovai sempre l’occhio chiuso; e così mi fu impossibile mandare ad effetto il divisamento; perché non l’avevo con quel povero vecchio, ma col suo cattivo occhio. E,ogni mattina, allo spuntar del giorno, entravo francamente in camera sua, gli parlavo coraggiosamente, chiamandolo a nome con un tono cordiale, e informandomi come aveva passata la notte. Mi pare,eh? Che avrebbe dovuto essere un vecchio molto profondo se avesse pur sospettato che ogni notte, proprio a mezzanotte, l’esaminavo mentre dormiva.

L’ottava notte fui ancora più cauto nell’aprir la porta. La lancetta piccola d’un orologio si muove più presto di quel che non facesse la mia mano. Giammai, prima di quella notte, avevo sentito tutta la potenza delle mie facoltà, della mia sagacia. Potevo appena contenere le mie sensazioni di trionfo . Pensare che ero là, aprendo la porta, a poco a poco , e che lui non si sognava neppure le mie azioni e i miei pensieri segreti! . A quell’idea mi lasciai sfuggire un piccolo riso; e forse mi sentì, perché si riscosse d’un tratto sul letto, come se si svegliasse. Scommetto che voi pensate che allora mi ritirassi, ma no, cari miei. La sua camera era nera come la pece, tanto eran fitte le tenebre – perché le imposte erano accuratamente chiuse per paura dei ladri – e, sapendo che non poteva vedere quella piccola apertura della porta, continuai a girarla ancora, piano piano, a poco a poco.

Avevo passato la testa, ed ero al punto d’aprir la lanterna, quando il pollice mi scivolò sulla serratura di latta, ed il vecchio si rizzò sul letto, gridando:

-Chi è là?

Rimasi completamente immobile e non dissi niente. Per un’ora intera non mossi un muscoli, e , durante tutto quel tempo, non lo sentii ricoricarsi. Stava sempre a sedere, in ascolto, proprio come avevo fatto io per intiere notti.

Ma d’un tratto intesi un fievole gemito, e riconobbi ch’era il gemito d’un terrore mortale. Non era un gemito di dolore o d’affanno; oh! no, era il rumore sordo e soffocato che si leva dal fondo d’un’ anima sopraffatta dallo spavento. Oh, io lo conoscevo bene quel rumore! Per molti notti, a mezzanotte precisa, mentre che tutti, tutti dormivano, era scaturito dal mio proprio seno, traversando colla sua eco spaventosa i terrori che mi travagliavano. Lo conoscevo bene, ripeto. Sapevo quel che provava il povero vecchio, ed avevo pietà di lui, quantunque avessi la gioia nel cuore. Sapevo ch’era rimasto sveglio fin dal primo piccolo rumore, quando s’era rivoltato nel letto. I suoi timori erano andati sempre crescendo . S’era sforzato di persuadersi ch’eran senza ragione; ma non aveva potuto. S’era detto a sé stesso:

-Non è altro che il vento nel camino; non è che un sorcio che traversa il soffitto. Oppure: E’ semplicemente un grillo che ha mandato il suo grido.

Sì, egli s’è sforzato di fortificarsi con quelle ipotesi; ma tutto è stato vano. Tutto vano, perché la Morte che s’avvicinava era passata dinanzi a lui colla sua grande ombra nera, e così aveva avviluppata la sua vittima. Ed era l’influenza funebre dell’ombra inavvertita che gli faceva sentire, quantunque non vedesse e non udisse niente, che gli faceva sentire della mia testa nella camera.

Quand’ebbi aspettato un bel pezzo, pazientissimamente, senza sentirlo ricoricarsi, mi risolvetti a schiudere un po’ la lanterna, ma così poco, quasi nulla. L’aprii dunque, così furtivamente, così furtivamente che non sapreste nemmeno immaginarlo, soltanto che un sol raggio pallido come un filo di ragno, si slanciò finalmente dall’apertura e venne a cadere sull’occhio dell’avvoltoio. Era aperto, spalancato, ed io entrai in furore appeni l’ebbi visto. Lo vidi nettamente, tutto d’un blu opaco e ricoperto d’un velo orribile che mi ghiacciava il midollo nelle ossa; ma non potevo vedere che quello della faccia e della persona del vecchio; perché avevo diretto il raggio, come per istinto, precisamente sul luogo maledetto.

Ed ora, non v’ho già detto che quel che prendete per una pazzia , non è che una iperacutezza dei miei sensi? Ora, vi dirò, mi giunse agli orecchi un rumore sordo, soffocato, frequente, simile a quello d’un orologio avvolto nel cotone. Quel suono lo riconobbi anche quello. Era il battito del cuore del vecchio. Ebbe virtù d’accrescere il mio furore, come il battere del tamburo porta all’esasperazione il coraggio del soldato.

Ma riuscii ancora a contenermi, e rimasi lì, senza muovermi. Badavo a mantenere il raggio dritto sull’occhio. Nello stesso tempo, la carica infernale del cuore batteva più forte; diventava sempre più precipitata e ad ogni istante sempre più forte. Il terrore del vecchio doveva essere estremo! Quel battito, dico, diventava sempre più forte di minuto in minuto. – Mi state attenti, eh? V’ho detto ch’ero nervoso; e infatti lo sono. E allora, nel pieno cuore della notte, tra il silenzio pauroso di quella vecchia casa, un sì strano rumore mi mise addosso un terrore indicibile, irresistibile. Potei contenermi e restar calmo ancora qualche minuto. Ma il battito diventava sempre più forte, sempre più forte. Doveva star per scoppiare quel cuore! Ed ecco che una nuova angoscia s’impadronì di me: il rumore poteva essere udito da qualche vicino! L’ora del vecchio era venuta! Con un grand’ urlo, aprii bruscamente la lanterna e mi slancia nella camera. Non mandò che un grido, uno solo. In un istante lo precipitai sul pavimento e gli rovesciai addosso tutto il peso formidabile del letto. Allora sorrisi di gioia, vedendo il mio affare così a buon punto. Ma, per alcuni minuti, il cuore batté con un suono velato, che però non mi diede alcuna angustia; non lo si poteva sentire attraverso al muro. Finalmente, dopo un po’, decrebbe , si affievolì, si smorzò, si spense.

Il vecchio era morto. Rialzai il letto ed esaminai il corpo. Sì,era morto, morto stecchito. Gli misi la mano sul cuore e ve la tenni per parecchi minuti. Nessuna pulsazione. Era morto stecchito. M’ero liberato per sempre del suo occhio. Se persistete sempre a credermi pazzo, questa credenza svanirà quando vi avrò descritto le sagge precauzioni che usai per nascondere il cadavere. La notte avanzava, ed io lavorai vivamente, ma in silenzio. Tagliai la testa, poi le braccia e poi le gambe.

Poi tolsi tre tavole dal pavimento della camera e depositai il tutto tra i regoli. Poi rimisi a posto le tavole, così abilmente, così destramente, che nessun occhio umano, neppure il suo, avrebbe potuto scoprirvi qualche cosa di sospetto. Non c’era niente da lavare, nemmeno una macchia, nemmeno una chiazza di sangue. Eh! Ci avevo pensato. Una tinozza aveva assorbito tutto. Ah! ah

Quand’ebbi finita tutta la bisogna – erano le quattro- era sempre scuro come a mezzanotte. Mentre che l’orologio suonava l’ora, fu picchiato alla porta di strada. Andai giù per aprire – poiché che cosa avevo da temere ora? Entrarono tre uomini, che si presentarono con molta urbanità, come ufficiali di polizia. Durante la notte un vicino aveva sentito un grido che aveva fatto nascere il sospetto di qualche guaio; era stata trasmessa una denunzia all’ufficio di polizia, e quei signori( gli ufficiali ) erano stati mandati a visitare il luogo.

Sorrisi – perché che cosa avevo da temere? Diedi il benvenuto a quei signori. – Il grido , dissi, l’avevo mandato io sognando. Il vecchio, aggiunsi, era in viaggio per la provincia.

Condussi i visitatori a girar tutta la casa. Finalmente li condussi in camera sua. Mostrai loro i suoi tesori, in perfetta sicurezza, tutti in ordine. Nell’entusiasmo della mia fiducia, portai delle sedie nella camera, e li pregai di riposarsi dalla loro fatica, mentre ch’io stesso, colla folle audacia d’un trionfo perfetto, collocai la mia propria sedia sul luogo stesso dov’era chiuso il corpo della vittima.

Gli ufficiali erano soddisfatti. I miei modi li avevano convinti. Mi sentivo proprio libero, a mio agio, senza imbarazzo.- Si misero a sedere e discorsero di cose familiari, alle quali risposi franco ed allegro. Ma, di lì a poco tempo, sentii che diventavo pallido, e desiderai che se n’andassero. Mi doleva la testa, e mi sembrava di sentirmi un tintinnio nelle orecchie; ma quelli restavano sempre seduti e chiacchieravano sempre. Il tintinnio divenne ancora più distinto; persistette e divenne ancora più distinto. Chiacchierai più abbondantemente per sbarazzarmi da quella sensazione; ma non mi lasciò, e prese un carattere del tutto deciso , tanto che alla fine m’accorsi che il rumore non era dentro le mie orecchie.

Senza dubbio allora divenni pallidissimo; ma io chiacchieravo ancora più lesto e più forte. Il rumore aumentava sempre – ed io che potevo fare? – Era un rumore sordo,soffocato,frequente, assai simile a quello che farebbe un orologio involto nel cotone. Respirai laboriosamente; gli ufficiali non sentivano ancora. Parlai più lesto; con più veemenza; ma il rumore cresceva, incessante. M’alzai, e disputai su delle piccolezze, in un diapason elevatissimo e con una violenta gesticolazione; ma il rumore cresceva, sempre. Perché non se ne volevano andare? – Scorsi il tavolato qua e là, pesantemente, a gran passi, come esasperato dalle osservazioni dei miei contraddittori. Ma il rumore cresceva regolarmente. Oh, Dio! Che potevo fare? Schiumavo, balzavo, sacramentavo. Agitavo la mia sedia facendola scricchiolar sul pavimento. Ma il rumore dominava sempre, e cresceva indefinitamente. Diventava più forte, più forte! Sempre più forte! E quegli uomini discorrevano sempre, scherzavano e sorridevano. Ma era mai possibile che non sentissero? Dio onnipotente!- No,no, sentivano! Sospettavano! sapevano! Si facevano un gioco, un divertimento del mio terrore! Lo credetti e lo credo ancora. Ma tutto, tutto era più tollerabile di quella derisione! Non potevo sopportar di più quegli ipocriti sorrisi! Sentii che bisognava gridare o morire! – e ancora, e sempre, lo sentite? – ascoltate! più forte! – più forte! sempre più forte!

-Miserabili! Gridai, non fingete più! Confesso! strappate quelle tavole! è là! è il battito del suo orribile cuore!

FINE

 

(succublog splinder: 24/11/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Senza titolo

Senza titolo

carattere-donne1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

(succublog splinder: 23/11/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su La gara di ranocchi

La gara di ranocchi

C’era una volta una gara di ranocchi.
L’obiettivo era arrivare in cima a una gran torre.
Si radunò molta gente per vedere e fare il tifo per loro.

Cominciò la gara.
In realtà, la gente probabilmente non credeva possibile che i ranocchi raggiungessero la cima, e tutto quello che si ascoltava erano frasi tipo:
“Che pena!!! Non ce la faranno mai!”.

I ranocchi cominciarono a desistere, tranne uno che continuava a cercare di raggiungere la cima.
La gente continuava:
“…Che pena!!! Non ce la faranno mai!”.

E i ranocchi si stavano dando per vinti tranne il solito ranocchio testardo che continuava ad insistere.
Alla fine, tutti desistettero tranne quel ranocchio che, solo e con grande sforzo, raggiunse alla fine la cima.

Gli altri volevano sapere come avesse fatto.
Uno degli altri ranocchi si avvicinò per chiedergli come avesse fatto a concludere la prova.

E scoprirono che… era sordo!

…Non ascoltare le persone con la pessima abitudine di essere negative… derubano le migliori speranze del tuo cuore!
Ricorda sempre il potere che hanno le parole che ascolti o leggi.
Per cui, preoccupati di essere sempre positivo!

Sii sempre sordo quando qualcuno ti dice che non puoi realizzare i tuoi sogni.

(giratami dalla saggia Mothy)


(succublog splinder: 18/11/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Quanto deve subìre una persona

Quanto deve subìre una persona

nella vita? Quante botte, quanti colpi deve ricevere prima di poter stare dritta senza dondolare e oscillare, come uno di quei pupazzi sempreinpiedi? Quando può fermarsi? Eppure si tratta di chi ha avuto dure prove, e le ha superate con coraggio e forza, e ottimismo in tale abbondanza da riuscire a trasmetterlo agli altri. Questo finchè trova qualcuno, che spera stia al suo fianco, qualcuno di cui fidarsi e a cui affidarsi, e invece…no. Perchè si tratta di una persona reduce di problemi suoi, situazioni non facili, ma comunque superabili. Qualcuno talmente preso da sé da non considerare per niente chi ha di fronte. Diamine, è stato lui a coinvolgerla, a renderla partecipe della sua situazione, stress compreso, come fa a non rendersi conto che sta coinvolgendo un altro mondo, con proprie esperienze, proprie delusioni, proprie esigenze propri desideri e propri sentimenti?  O questo mondo deve soccombere di nuovo perchè trascinato giù dalla vita di un altro? Un altro che ha gli occhi rivolti verso l’interno, il suo, e non verso l’esterno, tanto da non rendersi conto che sta dando altre botte a chi ne ha già subìte dalla vita. Quest’altro mondo non è inferiore al suo, nè ha meno importanza. Ma per la miseria, che difficoltà c’è ad uscire 4 secondi da se stesso, per guardare l’altra persona, e considerare che lei ha già dato il suo, soprattutto perchè ha dovuto pagare qualcosa che la vita le ha messo davanti, e che non ha potuto fare altro che affrontare e superare non senza poche difficoltà. Mentre lui, che è così concentrato su se stesso, è oppresso da situazioni da lui stesso provocate, dal suo modo di essere e di fare che lui stesso riconosce sbagliato. I suoi problemi dipendono solo da lui, mentre i problemi di lei no, dipendevano dalla vita. Allora cosa costa uscire da sè un attimo per guardare all’esterno, e poi vabè tornare a chiudersi dentro? Magari facendo così si possono capire cose che restando chiusi in sé non si capiranno mai. Magari si arriva a soluzioni insospettabili, che possano far stare bene lui, ma anche lei, caspita. A volte la soluzione di tutto e per tutti è a portata di mano, eppure certe persone sembrano non vederla, o ignorarla, perdendosi nei bicchieri d’acqua. Ma questo passi finchè coinvolgono loro stesse e la propria vita, ma non passi assolutamente quando coinvolgono la vita di qualcun altro.

(succublog splinder: 14/11/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su L’estate di San Martino

L’estate di San Martino

 

L’estate di san Martino è il nome con cui viene indicato un eventuale periodo autunnale in cui, dopo le prime gelate, si verificano condizioni climatiche di bel tempo e relativo tepore. Nell’emisfero australe il fenomeno si osserva eventualmente in tardo aprile – inizio maggio. Mentre il nome di Estate di San Martino è condiviso con le culture iberofone, nei paesi anglosassoni, francofoni, viene chiamata Estate indiana mentre in alcune lingue slave, tra cui il russo è chiamata Bab’e Leto, estate delle nonne.

San Martino viene festeggiato l’11 novembre.

Durante l’estate di San Martino venivano rinnovati i contratti agricoli annuali; da qui deriva il detto fare San Martino, cioè traslocare.

Tradizionalmente durante questi giorni si aprono le botti per il primo assaggio del vino nuovo, che solitamente viene abbinato alle prime castagne. Questa tradizione è celebrata anche in una famosa poesia di Giosuè Carducci intitolata appunto San Martino. (Wikipedia)

Qui oggi non fa caldo, ma nemmeno freddo, e da un paio di giorni è così. Ho giusto trovato questo detto che ci prende in pieno:

L’estate di san Martino dura due giorni e un pochino”.


(succublog splinder: 11/11/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Fratelli d’Italia – storia

Fratelli d’Italia – storia

Più che un corso di storia, è la storia di corsa. La storia, “chisselaricorda”, dai tempi di scuola, è impossibile. Perciò ho spulciato sul web (fonte primaria sempre Wikipedia) pensando di fare una specie di storia in pillole, la nostra storia, da quando Romolo fondò Roma, a cui seguì il grande periodo dell’impero romano, che vuoi o non vuoi ha lasciato il segno sulla storia del pianeta, fino all’unità d’Italia (su cui mi soffermo quache riga di più), quando finalmente, dopo essere stati a lungo terra di conquista da parte di tutti, “l’Italia s’è desta” e abbiamo combattuto valorosamente per riprenderci pezzo pezzo l’intera penisola con tutte le regioni in cui si parla Italiano.
Un post patriottico per chi vuole vederci il patriottismo o si sente patriottico, o semplicemente un extra-breve excursus della storia d’Italia reso più interessante ed istruttivo dal supporto visivo delle cartine.

Pronti? Via!


PREISTORIA; PROTOSTORIA: Etruschi e Italici

STORIA ANTICA:
– Fenici e cartaginesi
– i Greci
– La nascita di Roma (753 a.C. – 476 d.C.)
Secondo la tradizione, la città di Roma fu fondata il 21 Aprile del 753 a.C. da Romolo sul colle palatino.
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ALTO MEDIOEVO (476  – 1002): Goti, Bizantini, Longobardi, Carolingi e Arabi
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BASSO MEDIOEVO (1000-1492)
La chiesa e le crociate;
Comuni, signorie e il Regno di Sicilia;
Angioini ed Aragonesi al sud;
La pace di Lodi, e l’equilibrio (1454);
Colombo e l’America
Il Rinascimento.
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SOTTOMISSIONE DEGLI STATI ITALIANI (1500-1700):
per mezzo di Carlo VIII;
Carlo V e Francesco I;
Dominazione spagnola;
Dominazione austriaca.
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Napoleone e il dominio napoleonico e la Restaurazione (1700 – 1800)


IL REGNO DI SARDEGNA
I Savoia
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I MOTI CARBONARI E IL RISORGIMENTO (1848)

L’accendersi del patriottismo. I moti hanno inizio nel 1820-21 nel Regno di Napoli, e in Piemonte. Mentre nel Regno Lombardo-Veneto iniziarono dei processi contro i ribelli (es. Silvio Pellico) per sedare la Carboneria.
Nel 1830 i moti ripresero, nel Ducato di Modena e nello Stato Pontificio in particolare. Repressi questi, nacque la Giovane Italia di G. Mazzini (1831). Fino a quando il Re Carlo Alberto di Savoia non concesse la Costituzione, o Statuto Albertino (1848), temendo per il suo trono. Prima di questo un altro noto tentativo di rivolta fu quello dei Fratelli Bandiera, con il loro tentativo di sollevare il sud, tentativo che si concluse con la loro fucilazione. Dopo questo è stato un crescendo.

LE CINQUE GIORNATE DI MILANO (1848), la rivolta che scacciò definitivamente gli austriaci. Questo avvenimento diede inizio alla I guerra di indipendenza italiana, per la ripresa del nord della penisola, di cui molte note battaglie vinte (Pastrengo, la Battaglia di Santa Lucia a Verona, Peschiera e Goito). La guerra però si concluse con l’armistizio, in seguito al ritiro dello stato pontificio che temeva una ritorsione da parte degli austriaci. Seguì
CAVOUR E IL REGNO SABAUDO (1852), un primo passo verso l’unità. Intorno a questo periodo scoppiò la seconda guerra di indipendenza (1859), che vide la cacciata degli austriaci grazie all’intervento di Napoleone III, con le note vittorie di Montebello, Palestro, Turbigo, Magenta e Milano. Al termine della guerra, la penisola era però ancora suddivisa tra regno sabaudo, regno di Sardegna e stato pontificio.
LA SPEDIZIONE DEI MILLE (1860) fu rivolta al Regno delle due Sicilie. La battaglia di Volturno segnò la cacciata dei Borboni, da cui l’annessione del sud al regno sabaudo. Mancavano ancora Veneto e Friuli, Roma, Trentino e Venezia Giulia. Nel 1861 il parlamento sabaudo proclamò ufficialmente il Regno d’Italia con l’incoronazione del re Vittorio Emanuele II.
LA TERZA GUERRA DI INDIPENDENZA ebbe inizio nel 1866, contro gli austriaci, con l’alleanza della Prussia, allo scopo di riprendersi le regioni rimaste. Molte battaglie furono perse, ma le vittorie dei Prussiani permisero all’Italia di riavere dalla Francia il Veneto e parte del Friuli-Venezia Giulia. Restava Roma. Garibaldi combattè a lungo, avanzando e resistendo, ma sempre fermato dai francesi che appoggiavano lo stato pontificio. Finchè la caduta del secondo impero francese grazie ai prussiani  privò la chiesa della protezione da parte di Napoleone III, indebolendo lo stato e permettendo all’esercito di entrare a Roma il 20 settembre 1870 in seguito alla Breccia di Porta Pia. Questo causò una grave frattura tra Stato e Chiesa, durata a lungo e formalmente sanata con i Patti Lateranensi nel 1929.

PS: Pensando ai moti carbonari mi è venuto in mente un quesito: chi avrà inventato gli spaghetti alla carbonara?

(succublog splinder: 08/111/2011)

Dic 29, 2011 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Il dolore

Il dolore

un tema molto ricorrente nella vita di tutti. Causa di gran parte delle paure, e questo è comprensibile. Basta la paura del dolore per bloccare totalmente anima e corpo.  E ci si ferma là, senza nemmeno voltare la testa di un  puntino, senza respirare quasi, per non farsi sentire…dal dolore. Ma come giustamente dice qualcuno, così non si vive. Vedo persone incatenate da questa paura, che si dibattono per liberarsene senza riuscirci, e a volte ci affondano, quasi volontariamente, per mettersi alla prova. Nemmeno questo va bene, perchè se il dolore ha la meglio, si rischia di restarne intrappolati senza via di fuga. E allora che si fa? Bella domanda. Non lo so. Ho imparato che il dolore è parte integrante di ogni singola cosa, che senza di lui non ci sarebbe gioia, come non ci sarebbe bene senza male. Il dolore è fondamentale, vitale, non bello ovviamente, ma necessario. Questo concetto è un modo  (il mio) di accettare la vita in tutte le sue parti. Ogni emozione, ogni sentimento contiene dolore, e i sentimenti, si sa, si intrecciano tra loro in modo indistricabile. Il dolore E’ un sentimento e uno dei più forti, insieme all’amore. Anche l’amore ha in sè il dolore, quello che portiamo dentro per le esperienze nostre personali e quello che poi ci viene da chi amiamo, e dal suo dolore personale. Ma cosa dovremmo fare? Tenere tutto chiuso sotto chiave? E a fare che, ragnatele? Tanto è là, pure se lo blindiamo. E prima o poi griderà per uscire reclamando la sua libertà. Una persona saggia ha saggiamente osservato che è strano come dell’amore spesso si ricorda più il dolore che altro. E’ vero. Perchè il dolore è forse più forte della gioia stessa, anzi, paradossalmente si può dire che la gioia, quando è tantissima da essere incontenibile, ti provoca dolore, infatti di gioia si piange. Perchè sono emozioni forti che stai liberando, e come queste anche il dolore va liberato. Al dolore non c’è cura, come si spererebbe, al dolore dell’amore ancora meno. Fa parte del nostro bagaglio di vita, e vale la pena esprimerlo, liberarlo e viverlo, perchè il dolore è parte integrante di noi.

E a proposito dell’amore,  per coincidenza ho appena sentito questa  frase:  “l’amore non semplifica le cose, anzi le complica, quello che trova distrugge”. Ecco, appunto.

(succublog splinder: 04/11/2011)

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