Browsing "Senza categoria"
Mar 3, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Giochi di parole

Giochi di parole

la comicità che amo di più.

 

Allucinazione: Violento colpo inferto con il ditone del piede

Apparenti: Persone che sembrano familiari

Bacillo: Manifestazione d’affetto di un batteriologo

Bellinzona: Grande città della Svizzera dagli ameni dintorni

Cardiopalma: Attacco di cuore di un’oasi

Cipiglio: Espressione severa di uno che ha indovinato tutto

Costrutto: Manufatto a base di lardo

Destriero: Focoso cavallo dalle chiare simpatie politiche

Disturbo: Malessere dei piloti di F.1

Estromettere: Porre tanta fantasia e cratività nell’esonerare qualcuno

Folle: Assembramenti di gente malata

Immolare: Rimetterci un grosso dente per poter salvare gli altri

Mentale: Processo logico di chi ragiona a caramelle balsamiche

Opossum: Animale indeciso sul compere determinate azioni

Rigorista: Calciatore molto severo con se stesso e con i compagni di squadra

Trasecolare: Stupirsi a lungo, molto a lungo.

Mar 2, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Il futuro dei ricordi

Il futuro dei ricordi

 

il futuro non esiste, è un’idea che ho da sempre. Sono convinta che ce lo costruiamo noi minuto per minuto, anzi secondo per secondo, nel presente. In questo stesso momento, per dire, sto mettendo mattoncini per il mio futuro, che magari ora sembrano significanti, o senza seguito, mentre in realtà sono basi per quello che verrà. Anche gli eventi più grandi, le svolte, della nostra vita prendono il via da questi mattoncini apparentemente insignificanti. E’ così che la penso. Come penso, però, d’altra parte, che di fatto costruirci il futuro non è possibile, perché inevitabilmente le nostre singole vite si intrecciano tra loro. Una telefonata di un parente, o un amico, ad esempio, che in quel momento ha deciso una data cosa, o ha avuto un dato avvenimento improvviso, ti cambia i piani “futuri”, intesi come piani della giornata, o anche semplicemente dei tuoi dieci minuti successivi, che vanno a fondersi con i suoi. E’ questa l’imprevedibilità, per me, che impedisce finanche di farci programmi a breve termine, figuriamoci di costruirci il futuro. Non possiamo, d’accordo. Ma possiamo provarci. E io vorrei. Ho il “sogno” di una mia casetta, come la desidero da sempre, che non so se sarà possibile realizzare. Ma poiché ricordo nitidamente cosa dove e come sono stata felice, ho deciso di iniziare dalle piccole cose, raccogliendo “materiale”, fatto per lo più di ricordi che per quanto possibile vorrei ricreare. Come se, per dire, andassi in giro per negozietti alla ricerca di oggetti da accumulare che mi ricordino quello che mi ha reso felice, che possono essere una tazza a pois, un orologio a pendolo, insomma piccoli oggetti attraverso i quali circondarmi di felicità. E’ un desiderio che ho, supportato dal passato, e che, a differenza di altri sogni che non dipendono solo da me, può essere facilmente realizzabile. E intanto mi dà il “potere” di piazzare mattoncini per il futuro. Preparare la felicità attraverso il ricordo della felicità. Perché il futuro non esiste, ma il passato sì.

Mar 1, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Il sonno

Il sonno

questa fase fondamentale nella vita quotidiana di tutti gli esseri viventi, tranne forse pochi soggetti, tra cui io, che lo ritengono una perdita di tempo. Mmmmma sono la prima a riconoscere che quando arriva, c’è niente da fare, nemmeno riesco a tenere gli occhi aperti, nel vero senso del termine. Mi chiedevo però una cosa. Vale a dire, chissà come mai capita di dormire bene oppure male. Spiego. Ci sono volte in cui dopo una dormita ci si sveglia come se si fosse rimasti tutto il tempo sotto uno schiacciasassi, mentre altre in cui al risveglio ci sentiamo come una fresca rosa. Sia che si tratti della dormita notturna, sia che si tratti di una pennica pomeridiana, per esempio, altrimenti detta “abbiocco”. Per dire, stamattina mi sono svegliata benissimo, ero riposata in tutti i sensi, fisicamente e mentalmente, eppure non è stato diverso dalle notti precedenti. Dicono “evidentemente hai fatto un buon sonno”. Cioè, che vuol dire? O al contrario, se ti svegli bastonato ti dicono che evidentemente hai dormito male. In che senso? Ma sarà proprio così? O forse le fasi del sonno sono tipo una giostra, su cui la mente gira gira alternando momenti sì e momenti no, di rielaborazione di esperienze e fatti vari di vita. Per cui, se ti svegli nel momento sì ti senti benissimo, se becchi il giro no, l’unica cosa che vorresti è tornare a dormire. Ho fatto questa pensata ricordando le (poche) volte che mi sono addormentata il pomeriggio, di una in particolare che ricordo molto bene e che risale al periodo in cui lavoravo. Alle 15 dovevo rientrare in ufficio, quindi tra le 13, pranzo e breve siesta, il tempo era contatissimo. Ebbene, spesso mi capitava di abbioccarmi e risvegliarmi peggio di prima, nel senso più stanca e assonnata di quando mi ero abbioccata. Quella volta invece no. Si trattò – ripeto, lo ricordo benissimo – di un quarto d’ora di sonno, non di più, dopo il quale mi sentivo meravigliosamente bene. Vuol dire forse che se mi svegliavo un minuto prima O un minuto dopo probabilmente mi sarei sentita acciaccata? Continuo a visualizzare il sonno come un cerchio, toh diciamo un orologio, con la lancetta che si muove sulle tacche, alternando momenti bui, brutti, negativi, a momenti di luce, belli, positivi. Se ti svegli quando sta fermo su uno di questi ultimi, ti sembra di rinascere. Se invece becchi uno di quegli altri, ti senti al contrario. C’è anche chi dice, come diceva mia nonna, che se ti svegli male è “perché non hai finito il sonno”. Può darsi. Quando si viene svegliati di soprassalto è una specie di trauma in effetti. Ma io resto fissa sull’idea sopra esposta, del sonno come una giostra, e tu, sul tuo cavallino, passi zone buie e zone di luce. Se, per un motivo o un altro, ti svegli in corrispondenza delle prime, stai male, se invece ti svegli mentre attraversi le seconde, stai benissimo. A proposito di sonno, concludo raccontando di quella volta in cui io, bambina in età scolastica – si parla delle elementari – una mattina mi svegliai tardi e tutta contenta chiesi a mia mamma come mai non mi aveva svegliata per andare a scuola. La sua risposta fu “dormivi così bene”. Oh, da quella volta ho riprovato altre mille almeno a “fingere” di “dormire bene” (che non capivo proprio cosa volesse dire), cercando posizioni che potevano sembrare rilassate al massimo, regolando il respiro, insomma le provai tutte nella speranza che mia mamma mi ritrovasse a dormire così bene…. da non mandarmi a scuola. Ma niente, non è accaduto mai più.

Quesito: ma i pesci dormono? Se sì, quando? E quanto?

Feb 29, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su IN BOCCA AL LUPO

IN BOCCA AL LUPO

Stamattina mi sono svegliata con questa curiosità: da dove deriverà questo augurio? Perché “in bocca al lupo” non si può propriamente definire “augurio” – infatti la risposta è “crepi il lupo”! La mia curiosità sulle sue origini mi ha portato alla solita WikiWiki

 

In bocca al lupo è un augurio scherzoso di buona fortuna che si rivolge a chi sta per sottoporsi ad una prova difficile.

L’espressione ha un valore scaramantico: per scongiurare l’eventualità di un avvenimento indesiderato lo si esprime qui sotto forma di augurio. Andare nella bocca del lupo è infatti una palese metafora per cacciarsi nei guai.

Una consuetudine più recente del modo di dire in sé vuole che si risponda con «crepi il lupo» a chi formula l’augurio.

Origine

Anche se l’origine del modo di dire non è chiarissima, non è certo che esso sia nato nel mondo rurale, molto probabilmente dal linguaggio di pastori e allevatori, presso i quali il lupo era temuto come animale pericoloso per eccellenza, perché predatore di bestiame.

Secondo un’altra interpretazione, il detto sarebbe nato dal linguaggio dei cacciatori: i lupi infatti, sebbene non commestibili, venivano spesso soppressi in passato sia per salvaguardare il bestiame, sia perché considerati, a torto, pericolosi per la popolazione umana. L’uccisione di un lupo era dunque considerato un gesto prestigioso, e il detto avrebbe avuto in origine il valore di un augurio di buona caccia. In realtà il lupo, a dispetto dell’iconografia popolare, è per natura schivo dell’uomo.

Per altri il detto deriverebbe dal greco per assonanza. In greco era l’augurio “prendi la retta via” e come risposta si diceva “la prenderò”.

Un’altra interpretazione, ancora, trova l’espressione come un augurio che si riferisce alla storia dell’origine di Roma. Romolo e Remo vennero salvati dalla lupa, che dopo averli trovati abbandonati in una cesta sul greto del Tevere, li allattò e li condusse al riparo in una grotta, portandoli in bocca. Così, se qualcuno rivolge questa espressione all’altro, si augura fortuna oppure salvezza. In questo caso, però, una risposta quale “crepi” o “crepi il lupo” non avrebbe senso, se non frutto dell’ignoranza sull’origine dell’augurio.

Un’ulteriore interpretazione è che “la bocca di lupo” era la lavagna dove i capitani che arrivavano alla Giudecca registravano il loro arrivo e la quantità di uomini e merci portati a casa. Quindi dire “in bocca al lupo” significa fare buona navigazione ed augurare di tornare salvi in porto. Non si risponde “crepi” perché il lupo è una lavagna di scrittura, ma si risponde “che il Dio del mare Ti ascolti” oppure “ciao” (schiavo vostro), (schiavo → s/ciao → ciao in veneziano, il “vostro” è sottinteso); a Venezia nel lazzaretto in attesa della quarantena venivano fatte riquadri sui muri con frasi di augurio circondati da cornici dentellate a bocca di lupo, cornici che tuttora si usano in grafica con tale termine: rispondere “crepi” non ha etimologicamente nessun senso. Nell’isola del lazzaretto nuovo si possono tuttora vedere antichi modelli.

Un’altra possibile interpretazione sarebbe la seguente: si tratterebbe di un augurio rivolto a chi andava a cacciare il lupo, per poterlo cacciare bisognava potersi avvicinare, in definitiva mettersi nella bocca del lupo. Non possiamo dimenticare il fatto che nell’immaginario collettivo il lupo era un gran nemico, un nemico pericoloso (nelle fiabe popolari,il lupo era sempre il cattivo) e per mettersi alla caccia del temuto lupo, ci voleva una buona dose di coraggio, il coraggio di mettersi nella bocca del lupo. L’importante è che alla fine “crepi il lupo”, cioè il successo della caccia. Il cacciatore riceve il premio del coraggio dimostrato.

Hai capito! Interessante, come sempre. Anche se – come è naturale che sia – le possibili origini sono varie, e più ipotetiche che certe, perché nell’evoluzione, linguistica in primis, è così che avviene, il punto di partenza si perde nel tempo, e tra le abitudini e le usanze.

Feb 28, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Un po’ d’arte: Hopper, pittore contemporaneo

Un po’ d’arte: Hopper, pittore contemporaneo

ovvero, la quotidianità su tela. Edward Hopper (1882-1967) un pittore statunitense che ho avuto la casuale fortuna di apprezzare anni fa grazie a delle stampe (6 per la precisione) ricevute in regalo dal mio fratello (architetto, non per niente) e mio padre, i quali poi, visto l’entusiasmo della mia reazione nel vederle, si preoccuparono anche di farle incorniciare con semplice spartana cornice nera lucida (come conviene ai dipinti moderni).

Immagine correlata

Ecco i sei dipinti delle mie stampe. La scena del bar, che io sappia, è il più famoso,  il primo che appare quando si parla di Hopper e persino riproposto nel film Profondo rosso di Dario Argento. In effetti la scena è piuttosto inquietante, anche se a me, come tutti i quadri di questo pittore, dà un senso di pace, anzi di break, di pausa dal fragore della quotidianità. I personaggi del bar vengono osservati dalla strada, che è abbastanza buia, una scena notturna, quando la città dorme, non c’è gente in giro né rumore, né luci che stordiscono, a parte quella all’interno del bar, che risalta particolarmente anche grazie alla struttura tutta vetro, che non nasconde nulla. Io lo trovo suggestivo, molto.

Il secondo dipinto, sera d’estate, ha un po’ le caratteristiche del primo, anche se la scena è più intima: due ragazzi che si intrattengono tranquilli nel patio di casa illuminato mentre tutto intorno regna il buio. Dà un’idea di tranquillità (almeno apparente), anche questo, una pausa dalla calura delle giornate estive quando la sera ti godi in veranda la brezza piacevole. C’è un’aria di malinconia, però, perché tra i due ragazzi c’è distacco, non c’è attrito ma nemmeno contatto, neanche visivo, dato che guardano altrove. Forse in effetti trasmette un senso di solitudine. Il che è triste e malinconico, perché sono in due.

Il terzo dipinto è uno dei miei preferiti, principalmente per i colori dominanti, quasi tutti sui toni del celeste, che, si sa, è il colore della serenità. Anche qui c’è aria d’estate, l’abito della ragazza e la tenda che svolazza ne rendono pienamente l’idea, quasi ti fanno sentire la brezza estiva addosso. La ragazza sembra in attesa, di qualcuno o qualcosa, ma senza impazienza. Di nuovo è il senso di tranquillità a predominare, come durante una pausa dalla vita frenetica diurna. Farebbe quasi pensare che sia pomeriggio, magari presto, tra le due e le tre, e sei lì che ti godi l’arietta aspettando qualcuno (magari lui) che ti verrà a prendere per una gita in auto e una cena fuori.

Il quarto dipinto mi ispira sensazioni diverse, forse perché al chiuso, o forse perché, dato l’abbigliamento dei soggetti rappresentanti, con cappelli e maniche lunghe, fa pensare ad una stagione sicuramente non calda. Però apprezzo la situazione, mi fa venire in mente un’atmosfera parigina, vista più nei film che altro, un’istantanea comunque, anche questa, come di consueto, che coglie un momento di pausa dal logorio della quotidianità.

Il quinto dipinto ripropone un po’ la tematica del bar, cioè la scena vista dal di fuori, ma con tre belle differenze: innanzitutto la scena è diurna, come dimostrano il giallo della strada e il palazzo in ombra sulla sinistra; seconda cosa, il soggetto dietro la vetrina è uno solo. Terza ed ultima differenza: non è un momento di pausa, ma la quotidianità stessa. Si tratta dell’interno di un ufficio, o un negozio, non è molto chiaro, e la donna ritratta è intenta in qualcosa, il suo lavoro probabilmente.

Il sesto dipinto, infine, ritrae una scena concettualmente simile a quella del terzo dipinto, nel senso che anche qui c’è una donna in apparente attesa di qualcuno o qualcosa. E’ pronta a partire, come si evince dalle valigie chiuse e preparate, e dalla posizione stessa della donna. Di nuovo la pausa dunque, pausa tra un’azione, quella di preparare tutto e prepararsi, e l’altra cioè quella di partire. Ciò che colpisce me in particolare di questo dipinto è che, mentre negli altri c’è sempre un colore predominante (nel primo è il verde, nel secondo e nel terzo è il celeste, nel quarto il rosso, nel quinto il giallo), in questo dipinto, se notate bene, sono presenti tutti quei colori insieme: il rosso delle poltrone, il verde dell’auto, il giallo del paesaggio, il celeste del cielo.

Dicono che questo pittore sia rinomato soprattutto per aver ritratto fedelmente la solitudine nella vita americana contemporanea. In effetti un senso di solitudine nei suoi dipinti c’è, le figure presenti non sorridono mai, ad esempio, e anche quando in compagnia, non sembrano mostrare affabilità tra loro, o intimità. Non c’è scambio di sguardi né di contatti. C’è più che altro l’avvicendarsi, tra giorno e notte, di azioni e situazioni quotidiane che appartengono un po’ a tutti, che in fondo tutti conosciamo, e che sono alla fine sempre le stesse. A me però non mettono angoscia, i suoi dipinti. Sembrano sì istantanee (anche perché sono molto curati, da buon impressionista quale era) sul quotidiano, ma che ritraggono sempre un momento di stasi, di pausa, di riflessione, volendo, rispetto alla (o anche sulla) frenesia della solita vita di tutti i giorni, e di come questa il più delle volte ci induce a precluderci i rapporti con gli altri e di conseguenza ad essere soli, impedendoci di guardare al di fuori da noi, – sul serio, con curiosità vera, non per convenzione o per necessità,-  in modo da poter superare le barriere di isolamento che ci costruiamo intorno con le nostre mani risucchiati dal quotidiano e finalmente uscire fuori, a sentire tutta la brezza estiva su di noi, tenendoci pronti, come la ragazza in celeste e la donna con la valigia, a partire e a staccare davvero, e non solo il tempo di un’istantanea, dalla monotona quotidianità.

Feb 24, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Citando citazioni

Citando citazioni

salvador+dali+Landscape-With-Butterflies_jpg.jpgsi riflette sempre e tanto. Eccone un’altra, che riguarda un argomento tra l’altro per me  ricorrente in questi ultimi giorni. 

L’ onestà intellettuale, è la prima tra tutte le virtù. E’ rara, perché presuppone grande potere di analisi, onestà, forza e coraggio. Cambia la prospettiva delle cose, ci smaschera delle nostre debolezze e ci pone di fronte ad una triste condizione: che la maggior parte delle cose che ci rendono infelici siamo noi ad averle volute. •Web-

Ne ho parlato spesso, in merito a situazioni disparate e purtroppo anche troppo frequenti. E poi ecco che mi trovo davanti ciò che penso formulato da altri nel modo migliore, il che mi è sempre utile per esporre le mie idee, senza risultare presuntuosa o sentenziosa. Sono queste la prova che non posseggo nessuna verità assoluta, e nello stesso tempo che quello che dico non è poi tanto sbagliato. L’onestà intellettuale, cioè di pensiero. E’ qualcosa che ho consigliato a qualcuno in difficoltà, che non sa che pesci prendere in una situazione opprimente, e che qualcun altro mi ha raccontato di aver detto, quasi con le stesse parole, ad altri in analoghe condizioni. Se torna così spesso e in questo modo, il concetto deve essere giusto, in qualche modo. L’onestà su noi stessi è fondamentale, e non nuoce a nessuno. Se si è onesti, su ciò che siamo e proviamo, si trova pace, come quando tiri un grande sospiro liberatore, e nello stesso tempo non si inganna né si imbroglia altri, costringendoli in una situazione che in realtà non è vera perché basata su  una finzione. Troppe sono le persone che si imbrigliano in un sistema di vita che in realtà non sopportano, eppure continuano a rimanerci e ad andare avanti perché, che so, oggi magari c’è il sole, che li mette d’animo buono e quindi le cose non sembrano poi tanto male, non calcolando che domani l’oppressione la sentiranno di nuovo. Oltre al notevole problema che, persistendo in questo modo, costruiranno qualcosa su un terreno sbagliato, e ciò che crescerà non potrà che essere sbagliato. Esempio, una persona che ha palesemente ammesso di convivere con un tipo che non la rende felice, al punto che ora lei odia tutti gli uomini e sta agendo, di nascosto, per vendicarsi di questo (vendicandosi però su chi non c’entra assolutamente niente. E questo è giusto?). Ma allora, se è così e lo riconosce, cosa ci convive a fare? Non può pensare di amarlo, qualsiasi sentimento in questo caso si deteriora. Né può dire di non avere scelta, perché una scelta C’E’ SEMPRE, ad esempio per dirne una, può smettere di conviverci, può starsene per conto suo, magari l’uomo giusto arriverà. In questo modo sarebbe più serena lei, ed eviterebbe anche di fare danni in giro. Posso capire che non è facile, non è mai facile, e il peggio è proprio guardare in faccia la realtà e riconoscere dove sta davvero il problema. Ma non è giusto continuare a vivere in questo modo e a far vivere ad altri il proprio disagio che non si vuole riconoscere. Non si vuole, perché? Per non restare soli? Ma così lei è sola, anzi è sola e per giunta arrabbiata, e lo sarà sempre di più, così sì che non avrà più scelta. Continua un percorso che più va e più si interseca finché non potrà più tornare indietro. Ma come si può vivere così, come palline di un flipper, mandate di là e di qua dalle circostanze senza minimamente tenere conto di ciò che si vuole davvero e di ciò che non si vuole, e accettando la condizione infelice come norma, con sprazzi di quella che sembra felicità ma che in realtà non lo è? Essere onesti su noi stessi non può che tranquillizzarci,  perché placa l’animo permettendoci di uscire dalla condizione infelice che, come dice la frase, da soli ci infliggiamo, per paura, o vigliaccheria o semplicemente per quieto vivere, e, tranquillizzandoci noi, possiamo contribuire alla futura felicità di chi ci è vicino, che, messo davanti alla verità, è finalmente libero di essere onesto con se stesso a sua volta.  Prima che le cose precipitino inesorabilmente, ferendo magari gente innocente e causando danni che potrebbero essere evitati, il passo migliore è uno solo: smettere di mentire a noi stessi. Il resto viene di conseguenza. 

E’ facile a dirsi, difficile a farsi. Ma la seconda, alla fine dei conti, può essere superata facilmente. 

(UP. Dal 12/feb/2012)

Feb 21, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su La relatività

La relatività

escher_relativita.jpgno, non parlo di Einstein E = mceh, non voglio addentrarmi nella fisica e le sue formule, mi riferisco solo al concetto del “tutto è relativo”, a cui non credo, perché è come affermare che non esiste la verità. Mentre la verità esiste ed è ciò che cerco sempre. Però, esempio, chi è convinto che io sia bugiarda, nel momento in cui mi chiede “hai mentito?” e io gli rispondo “Sì”, teoricamente non ci dovrebbe credere, dovrebbe pensare che sto mentendo. Quindi alla fine tutto sta alla capacità di fidarsi o meno. Ma ciò non vuol dire che è tutto relativo, o che ogni cosa dipende da come la vedi, perché anche qui la verità c’è, e cioè che o ho mentito oppure no. Una di queste due è la verità oggettiva, il dato di fatto. Come viene recepito dalle singole persone è un’altra faccenda, che non ha comunque a che fare con il tutto è relativo, ma piuttosto con la differente capacità delle singole persone di vivere i rapporti e guardare persone ed eventi, cosa che spesso ha a che fare con cosa possa far comodo e tornare utile. Siamo, come al solito quando si tratta di teoria, al tipico dualismo irrisolto ed irrisolvibile tra soggettivo ed oggettivo. Inserendola nella mentalità, la relatività può precludere o ostacolare il raggiungimento della verità, creando caos e confusione a causa della dilagante convinzione che non esiste verità assoluta ma ne esistono tante quanti sono i diversi punti di vista (vale a dire il soggettivo), per cui può succedere che io sono vista in 3 modi diversi da 3 persone diverse; ma questo in quanto sono occhi diversi a vedermi, e non perché io sia in quei 3 diversi modi, in realtà io sono una soltanto. Ecco però che la verità soggettiva va a confondere e coprire la verità oggettiva. Voglio dire, se ognuno di noi vive una persona (o un evento) in modo diverso non significa che ne sia “vera” ogni diversa versione,  né annulla il fatto che una sola unica verità assoluta (e non tante relative) che la riguarda.esista come dato oggettivo. Se si pensa all’immagine, il noto dipinto di Escher, la scala esiste oggettivamente, e mantiene la sua posizione anche quando io cambio il punto di vista, per cui non esistono tante verità sulla scala tanti quanti siamo ad osservarla, la scala è la verità oggettiva, i punti di vista ne sono una interpretazione soggettiva e relativa. La relatività non nega la verità. Semplicemente ci gioca. 

Feb 20, 2016 - Senza categoria    Commenti disabilitati su Quando dicono che pensare troppo fa male….

Quando dicono che pensare troppo fa male….

03-350x498.jpgmica aggiungono la spiegazione di come non farlo, però! Oddio, spesso bene non fa. Quante volte vorrei evitare di pensare, ma non posso farne a meno, mi viene….”d’istinto” . Però questo fatto del “troppo” a me ha stufato. Non è che si pensa “apposta”, viene così è basta. E’ umano, e siamo umani, caspita.  Amare troppo no, pensare troppo no. Ma che vuol dire “troppo”? Magari potessimo misurare pensieri e sentimenti! Staremmo di sicuro molto meglio. Ma a me piace così. Però c’è una frase in cui mi ritrovo, ed è questa:

“Ogni volta che uso il mio istinto, vinco, ogni volta che penso troppo, perdo” (Elbaz).

Oh, è vero. Lo confermo e lo sottoscrivo. Ho sempre avuto la convinzione che fosse una mia caratteristica, o meglio, la caratteristica di chi, come me, ha un carattere impulsivo. Il che, per la precisione, non è che dia sempre sempre la vittoria, eh. Non si contano le volte in cui avrei dovuto e voluto “pensare” e frenarmi prima di partire in quarta, e non ci sono riuscita. Spesso questo modo di fare porta danni notevoli, anche a me stessa. Ma di base questo concetto lo ritengo molto realista. Perché sarà pure che non sempre ho vinto quando ho agito d’istinto, ma resta verissimo che ogni volta che ho pensato, diciamo troppo (ma con riserva su questo termine in merito a pensieri e sentimenti che, dai, non si possono controllare) ho perso. Intanto ho perso tempo, per dirne una. E poi il resto a venire. Ho perso occasioni, ho perso la visione delle cose, mi sono persa nei pensieri, insomma. Quindi ho perso. Pensavo, ripeto, fosse una mia caratteristica da carattere impulsivo, invece no, ho diversi esempi di persone tutt’altro che impulsive che si ritrovano come me in questa idea. Ad esempio, a chi non è mai capitato di constatare che le cose preparate d’istinto, all’ultimo momento, vengono spesso meglio di quelle preparate con un’organizzazione pensata e ripensata. Quando si pensa “troppo”, la parola che ricorre in mente più di frequente è “oppure”. Posso fare così, OPPURE così, OPPURE colà. Ecco, questo a me confonde soltanto le idee. Tante volte avrei voluto pianificare e programmare, addirittura mettendo per iscritto, per avere ancora di più l’idea di essermi organizzata. Ma niente, tutte le volte è stato un fallimento. Maree di imprevisti che uscivano fuori ogni minuto a scombinare i piani. Forse non ho la capacità di prevedere le varianti, forse è questo il motivo. Fatto sta che i programmi a me non riescono mai. C’è chi con gli “oppure” sa barcamenarsi benissimo, perché riesce, appunto, a valutare tutti gli eventuali imprevisti che possono sopraggiungere. Io non riesco. Mentre, di contro, quello che faccio d’istinto, cogliendo l’attimo, come si può dire, magari con molto meno materiale di altre volte in cui ho pensato e programmato, mi esce perfetto. Sia che si tratti di fare oggetti, o di preparare qualcosa di creativo, o di scrivere, nel mio caso è sempre l’istinto a parlare meglio del pensiero. Posso affermare, direi, che, per quanto riguarda me, non è il “pensare troppo” che fa male, ma il pensare stesso. E a questo punto posso quindi concludere citando l’universale saggezza senza tempo del magnifico Shakespeare:

“Insegnami a dimenticarmi di pensare.”

Pagine:«12345678...80»